L’Emilia Romagna, come tutti sappiamo, è terra di motori.
E dove ci sono i motori ci sono persone che li amano e che li trattano come se fossero degli esseri viventi.
Persone cresciute a pane e benzina, che riconoscono le moto dal rumore che fanno e che non contano le ore passate nel box tra attrezzi e zanzare.
Luca Guerzoni è uno di loro: classe 1983, nasce nel capoluogo dell’Emilia Romagna e da adolescente -come tanti altri ragazzi della sua città- ama andare in giro per i colli bolognesi in sella alla sua Aprilia RX50.
La storia di Luca: una vita dedicata alle due ruote
Con il passare degli anni, però, il 50ino inizia a stargli stretto.
Passa quindi ad una Cagiva Mito 125, sogno di tutti i 16enni degli anni ’90, e lì inizia a capire che forse sono le moto sportive quelle che gli regalano le emozioni più forti. Conferma che arriva dalla carrellata di moto su cui Luca sale negli anni seguenti: Honda CBR 900 Fireblade, Yamaha R1, Triumph Speed Triple, Suzuki GSX-R 1000, KTM Super Duke 1290.
Per Luca, però, le moto sono qualcosa di più di semplici “pezzi di ferro”. Non è mai stato capace di liberarsi davvero delle sue vecchie moto, tanto che cerca sempre di venderle a chi conosce o abita in zona. Come ad esempio la sua vecchia Suzuki, venduta ad un ragazzo che abita a pochi km di distanza e che ad ogni uscita gli manda qualche foto del suo vecchio mezzo.
Insomma, nella vita di Luca sono passate tante moto.
Moto potenti con le quali ha macinato migliaia di chilometri, come quella volta che con un paio di amici è partito alle 2 di notte di un caldo venerdì bolognese per vedere l’alba in Austria.
Ad agosto 2015, mentre è in sella alla sua Speed Triple, succede l’inaspettato.
Una manovra imprudente di un automobilista, il tentativo di frenata, lo schianto.
Luca si risveglia in ospedale dopo tre mesi di coma, non si ricorda nulla.
La consapevolezza di aver perso un braccio, lo shock che subito si tramuta nella domanda “sì, ma la moto?”.
“La moto è distrutta”, gli rispondono. “sì ok distrutta ma cosa? Forcellone? Telaio? Serbatoio? Cosa si è distrutto?”.
Da queste parole dovreste esservi fatti un’idea del carattere di Luca.
Seguono mesi di riabilitazione, mesi durante i quali Luca fa addirittura fatica a tenere in mano una sigaretta.
La determinazione e la voglia di tornare in sella sono più forti di qualsiasi impedimento fisico, Luca entra in contatto con l’associazione Di.Di. (Diversamente Disabili) e capisce che sì, tornare in sella si può.
E infatti ci torna a marzo 2016, in pista, su una Suzuki SV650.
Il ritorno in sella è uno dei momenti che Luca ritiene più importanti della sua vita, motociclisticamente parlando e non, perché capisce che nonostante l’incidente non ha paura di tornare in moto.
Grattare le saponette in pista dopo mesi così duri è una liberazione, un successo personale che gli dà la carica per capire che nella vita si può fare (quasi) tutto, basta volerlo.
L’esperienza in pista continua, Luca recupera una vecchia R6 che riadatta secondo le sue esigenze e scende in pista, in meno di un anno
vince il campionato organizzato dall’associazione Di.Di.
Vinta una sfida, ne compare subito un’altra sfida all’orizzonte: ottenere la patente per poter circolare anche su strada.
Sfida superata -ovviamente- ed ecco che nel box di Luca fa il suo ingresso una Super Duke 1290, che viene modificata ad hoc: comandi, gas e freno spostati a sinistra e cambio elettronico.
La passione per i viaggi torna prepotente: è così che Luca, un giorno, si trova a percorrere con il dito la cartina dell’Europa e l’idea di un viaggio attraverso il vecchio continente inizia a stuzzicarlo.
Nasce così il progetto 407Get, con il nome che già racchiude tutto: la data di partenza (7 aprile, all’americana) e il verbo inglese Get, che significa andare a prendersi qualcosa, ottenere. Ma sono anche le iniziali di Grand European Tour, il gran tour europeo, che prevede 25mila chilometri in tre mesi (con passeggera) per scoprire le bellezze dell’Europa senza mete definite, improvvisando giorno per giorno strade e pernottamenti.
Luca si trova a percorrere le strade della Francia e della Spagna per poi puntare il faro della sua moto verso nord, verso la Gran Bretagna.
Sosta obbligata all’Isola di Mann dove, sue testuali parole, “quando sono salito verso la zona di Sarah's cottage ho messo la freccia e ho accostato perché piangevo come un bambino”.
Sembra tutto andare per il meglio (a parte qualche imprevisto, come la rottura del cambio in mezzo alle Highlands scozzesi che lo costringe a fare 200 chilometri con tre marce per trovare un’officina in grado di ripararlo) quando, in Norvegia,
un alce decide di attraversare la strada proprio mentre sta passando Luca.
L’impatto è inevitabile e gli costa la rottura di scapola, caviglia e quattro costole, più la perforazione di un polmone e il distaccamento della membrana. Anche la compagna di viaggio subisce diverse fratture.
Luca si rialza ancora una volta, dopo qualche giorno prova a infilare lo stivale della moto…e ci riesce.
Gli infermieri, spaventati, chiamano la polizia norvegese, che impone a Luca il divieto di guidare nella nazione per novanta giorni.
Il viaggio vede quindi la parola fine.
Il rientro in Italia viene organizzato tramite degli amici che vengono a recuperarli con un camper, per poi riportare i ragazzi e la moto in Italia dopo un viaggio di trentacinque ore.
Il tour si chiude così dopo 52 giorni, 15.500 chilometri ma soprattutto una grande delusione per non essere riuscito a portare a termine il progetto, sebbene per cause esterne.
L’amaro in bocca c’è, va ammesso,
ma dopo nove giorni dal rientro Luca è di nuovo in strada: “Mi serviva tornare in sella per superare la delusione del viaggio, ne avevo bisogno (e ci torna su una Harley Davidson, 386 kg di moto, ndr). Ho visto l’ombra proiettata sull’asfalto e lì mi sono detto ok, va tutto bene“.
La moto come salvezza, la moto come “
libertà in tutti i sensi, proprio come fusione tra uomo e macchina, nella quale tu guidi un mezzo e il mezzo guida te. Come se la moto fosse un’estensione del corpo, come se ti dessero dei superpoteri dove riesci a correre velocissimo, frenare forte, senza avere intorno una scatola metallo intorno ma sentendo aria sul viso”.
Se avete letto tutto fino a qua, avrete capito che il percorso di Luca non è stato facile, anzi.
Ma non vuole sentirsi un supereroe: “credo che quello che ho fatto sia alla portata di tutti: le persone che ammirano o rispettano chi riesce a superare difficoltà gravi -come una disabilità importante- lo fanno perché non si sono dovuti trovare ad affrontarla. Io ho convinzione che chiunque, messo alla prova, senza alternative riesca a trovare una forza interiore. Io non mi sento speciale rispetto ad altre persone, spesso vengono ingigantiti problemi che potrebbero essere risolti semplicemente ma solo perché non si ha a che fare con problemi maggiori,
il problema è grande nella misura in cui si affronta”.